Se ne parla davvero troppo poco: il lavoro povero. Spesso nelle diatribe sull’occupazione in Italia si divide in modo piuttosto spartano la popolazione tra occupati e disoccupati.
Questo è un modo di vedere le cose, ma al giorno d’oggi essere occupato in se stesso vuol dire poco o nulla. Sono tanti i lavori pesantemente sottopagati o che garantiscono ore lavorate scarse e saltuarie per cui la nuova piaga oltre quella della povertà in se stessa è quella del lavoro povero. Sono tante infatti le famiglie italiane che hanno almeno un membro occupato eppure che vivono in condizioni di povertà. Guardiamo un po’ i numeri: in Italia gli occupati a rischio povertà sono ben il 12,2%. L’imputato principale della povertà del lavoratore è la precarietà dei contratti. La precarietà dei contratti espone il lavoratore a essere sempre a rischio povertà. Inutile dire che nel sud Italia il rischio povertà è molto più elevato.
Lavori saltuari pagati poco e con contratti che non offrono garanzie. Questo è il quadro da cui emerge il rischio povertà degli occupati italiani. Il rischio povertà viene calcolato in base ad una serie dei parametri che definiscono quei cittadini e quelle famiglie e rischiano di potersi facilmente trovare una situazione tale che precluda loro beni essenziali per una vita decorosa. In Italia addirittura il 20% dei residenti sono a rischio povertà. Quello che colpisce è che appunto tanti di loro siano occupati. Questo dovrebbe pesare sulle tante cose che si dicono a proposito della poca voglia di lavorare degli italiani. Purtroppo alle volte capita che pur lavorando non si emerga dall’ansia della povertà.
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Sono tanti gli analisti che sottolineano come la precarizzazione del lavoro renda questo fenomeno sempre più preoccupante.
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Anni di politiche che offrono scarse tutele al lavoratore hanno portato questo a non avere difese contro un mercato del lavoro che poco valorizza e ripaga le sue competenze.
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