Quali sono le possibilità di diventare indipendenti rispetti alla grande potenza russa che domina sul campo energetico? Le alternative ci sono.
Quello che stiamo attraversando è senza alcun dubbio uno dei momenti più straordinari e difficili per l’economia mondiale. La dimostrazione cammina sul binario della speculazione e si traduce con il fatto che, nonostante la quantità del petrolio e il gas sia sempre uguale, il prezzo sale sempre di più a causa di una fase dettata da instabilità sociale e politica. Uno dei termometri più efficaci si legge nei distributori di benzina, ormai assediati da prezzi shock e paura di restare senza carburante. Un paradosso che spaventa gli italiani che ogni giorno sono costretti a ricaricare l’auto per andare a lavorare o mantenere una vita normale e che, dunque, pagano con il proprio portafoglio la diminuzione delle materie prime e della guerra tra Russia e Ucraina, come accade anche per altri beni primari come il pane. Eppure, sostengono gli esperti, esisterebbe un modo per far abbassare il prezzo e condurre l’Italia ad una indipendenza energetica sul piano del carburante.
Come spiegato dagli esperti del settore, sarebbe necessario un piano di approvvigionamento che non contenga la Russia e che dunque prenda in considerazione il Medio Oriente e l’Africa. Ma questo non può avvenire senza un reale progetto di investimenti che, come tutte le cose grandi, costa tempo e fatica. Almeno dieci. Questo accade perché al momento il nostro Paese è autonomo per il solo 5 per cento del fabbisogno totale. Dunque, il 95 per cento è importato dall’estero. Ecco che più che mai, ora, serve sfruttare i pozzi e le risorse a disposizione. Così facendo, l’Italia potrebbe arrivare ad usare il 52 per cento circa del fabbisogno coperto.
Per il prossimo autunno non è escluso che ci possano essere dei problemi per ciò che riguarda l’importazione del gas. Il problema sarebbe legato alle dinamiche belliche che riguardano la Russia e l’Ucraina e le sanzioni che i paesi dell’Occidente hanno emesso nei confronti del governo di Mosca. La salvezza, dunque, non rimane che premere sull’acceleratore del Medio Oriente e Africa, definiti come i nuovi “eldorado petrolifero”.
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