Un titolo di Stato che promette rendimenti per mezzo secolo può sembrare rassicurante. Ma cosa succede quando basta un soffio sui tassi per far crollare il suo valore? Il BTP a 50 anni (ISIN IT0005441883, cedola 2,15%, scadenza 1 marzo 2072) non è un titolo come gli altri: è una scommessa sul futuro, lunga e rischiosa. In molti ne sono attratti, ma pochi ne conoscono davvero le implicazioni. L’aspetto più sorprendente? Il rendimento è simile a titoli meno rischiosi. Ma allora dove sta il vantaggio? Il rischio è davvero giustificato?
Può sembrare banale, ma il tempo cambia tutto. E nei mercati finanziari, il tempo è spesso più potente del denaro stesso. Quando si guarda a un titolo di Stato con scadenza 2072, si entra in una dimensione molto diversa rispetto al classico investimento a medio termine. È un salto che richiede consapevolezza, perché le variazioni nei tassi d’interesse possono avere effetti enormi, e spesso sottovalutati. Alcuni lo considerano una scommessa sulle prossime generazioni. Altri, un rischio che nessuna cedola potrà compensare.
Molti numeri sono noti, eppure pochi riflettono davvero sulle loro implicazioni. Un prezzo di mercato sotto 60, un rendimento netto del 3,84%, una duration modificata di oltre 22 anni: sono dati che vanno letti con la lente della realtà, non solo della teoria. Ed è proprio qui che la distanza tra ciò che promette e ciò che può succedere si fa più evidente.
Il BTP a 50 anni (ISIN IT0005441883, cedola 2,15%, scadenza 1 marzo 2072) sembra un investimento da lasciar lì, dimenticare in un cassetto e poi ritrovare con un sorriso. In realtà, è un titolo che vive di tensioni, pronto a reagire con forza a ogni scossone nei tassi d’interesse. Se oggi il rendimento può sembrare interessante, ciò che lo accompagna è una volatilità significativa. Una variazione di appena mezzo punto nei tassi può tradursi in un movimento del prezzo tra il +11% e il –11%.
Chi compra questo titolo oggi lo fa a circa 58,5. Il che significa che il mercato già sconta un certo scetticismo. Eppure, la cedola fissa resta quella iniziale, e la promessa di rimborso a 100 nel 2072 è sempre lì. Solo che, nel mezzo, possono succedere molte cose. Il prezzo potrebbe salire, certo. Ma potrebbe anche scendere molto prima di riprendersi. Per chi ha bisogno di liquidità o semplicemente vuole dormire sereno, non è sempre la scelta più adatta.
In confronto, il BTP a 30 anni (ISIN IT0005611741, cedola 4,15%, scadenza 1 ottobre 2054) ha una duration più corta, attorno ai 12 anni, e un rendimento solo leggermente inferiore (3,88%). Anche il BTP a 20 anni (ISIN IT0005438004, cedola 1,80%, scadenza 1 aprile 2045), con il suo 4,36% netto e una volatilità più contenuta, rappresenta una scelta più equilibrata. La differenza? Il prezzo reagisce in modo più contenuto: si parla di ±6% per il 30 anni, e di appena ±4% per il 20 anni.
Nel confronto fra BTP a 20, 30 e 50 anni, è evidente che la vera discriminante non è tanto il rendimento, quanto il comportamento in situazioni di stress. Il 50 anni è come una corda elastica tirata al massimo: ogni scossa si riflette in modo amplificato. Questo lo rende adatto a chi ha una visione molto lunga e una forte tolleranza al rischio. Ma per chi valuta la possibilità di vendere prima della scadenza, il discorso cambia radicalmente.
L’idea che i titoli di Stato siano sempre strumenti stabili viene messa in discussione proprio da questi esempi. Il BTP 2072 non è “più sicuro” solo perché dura di più. Anzi, in termini di oscillazione di prezzo, è tra i più instabili. E se si considera che offre un rendimento simile a titoli con rischi inferiori, la domanda sorge spontanea: vale davvero la pena esporsi a tutta questa incertezza?
Ogni investitore dovrebbe chiedersi quanto tempo è disposto ad aspettare, e quanto può sopportare nel frattempo. Perché tra la prima cedola e il rimborso finale possono passare eventi capaci di cambiare tutto. La vera domanda, forse, non è quanto rende. Ma quanto costa reggere quella distanza.
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