Quanto vale davvero una vita di lavoro? Le nuove regole sulle pensioni cambiano tutto, soprattutto per chi ha iniziato dopo il 1996. Tra soglie economiche, età da raggiungere e strumenti digitali per orientarsi, il 2025 si annuncia come un anno chiave. Attenzione, però: non tutti potranno andare in pensione quando pensano. E nemmeno con l’importo sperato.
C’è un momento in cui la carriera lascia spazio a nuove priorità. Quel momento, però, oggi è tutt’altro che prevedibile. Se in passato bastava guardare l’età anagrafica, oggi serve farsi i conti, e alla lettera. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, la pensione non è più solo un diritto che matura col tempo, ma il risultato di precisi incastri tra età, contributi e valore dell’assegno.
Il sistema contributivo puro, che riguarda appunto chi ha versato solo dopo quella data, prevede regole più rigide. Non solo servono almeno 20 anni di versamenti, ma bisogna anche superare soglie economiche per poter lasciare il lavoro prima. E non sono cifre irrisorie. Chi non le raggiunge rischia di dover lavorare fino a 71 anni. Sì, 71.
Dal 2025, per chi rientra nel sistema contributivo, la possibilità di accedere alla pensione anticipata resta fissata a 64 anni. Ma attenzione: questo vale solo se si ha diritto a un assegno pari ad almeno tre volte l’assegno sociale, cioè circa 1.330 euro netti al mese. E dal 2030, questa soglia salirà ulteriormente, arrivando a 3,2 volte, poco più di 1.410 euro.
Non si tratta solo di una questione di età, ma anche di quanto si è riusciti ad accumulare. Per le donne, ci sono alcune agevolazioni: con un figlio la soglia si abbassa a 2,8 volte l’assegno sociale, e con due o più figli a 2,6. Tradotto in numeri, si parla di circa 1.020 euro netti. Ma per tutti gli altri, il limite è chiaro e invalicabile.
Chi non riesce a raggiungere queste cifre ha due alternative: aspettare i 67 anni per la pensione di vecchiaia tradizionale, purché abbia almeno 20 anni di contributi e una pensione pari almeno all’assegno sociale, oppure rinviare tutto a 71 anni, accedendo alla vecchiaia contributiva, che richiede solo 5 anni di contributi ma nessuna soglia economica.
Una delle novità più rilevanti del 2025 è il tentativo di avvicinare la previdenza pubblica alla previdenza integrativa. Un vero e proprio “ponte” pensato per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, che punta a rendere più sostenibile il sistema e a offrire nuove opportunità per costruire un assegno pensionistico più dignitoso.
L’idea è chiara: chi ha versato pochi contributi o ha avuto carriere discontinue difficilmente raggiungerà gli importi minimi per uscire prima. Qui entrano in gioco i fondi pensione e gli strumenti di previdenza complementare. L’obiettivo è integrare ciò che manca nel primo pilastro con contributi aggiuntivi accumulati negli anni.
Il famoso “pensionometro”, disponibile sul sito dell’INPS, può dare un’idea di quanto si percepirà, ma non è uno strumento definitivo. Serve più che altro a capire quanto ancora manca per raggiungere la soglia richiesta. Per molti, sarà inevitabile pensare anche a una forma integrativa, magari attraverso un fondo pensione collettivo proposto dall’azienda o un piano individuale.
La nuova direzione è chiara: costruire la pensione diventa un’azione attiva, che richiede pianificazione e consapevolezza. Non basta più lavorare tanto, serve anche lavorare “bene” sotto il profilo contributivo. E soprattutto, iniziare a pensarci in tempo.
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