Qualcosa sul 730/2025 che cambia il modo di risparmiare sui contributi per colf, badanti e baby‑sitter
Quando si parla di dichiarazione dei redditi, la mente corre subito alle detrazioni più note, ma non tutti sanno che esistono strumenti capaci di incidere in modo più diretto sull’imponibile. Non si tratta solo di “recuperare qualcosa”, ma di ridurre davvero la base su cui vengono calcolate le imposte. È un meccanismo che interessa migliaia di famiglie che ogni anno si trovano a versare contributi previdenziali per colf, badanti e baby‑sitter.
Eppure, nonostante la sua importanza, resta spesso in secondo piano. Pensare che una spesa obbligatoria possa trasformarsi in un vantaggio fiscale sembra quasi paradossale, eppure il sistema lo consente, a patto di rispettare regole e tempistiche ben precise. Dietro questa opportunità c’è un principio fiscale chiaro e una serie di requisiti che, se conosciuti, permettono di sfruttare al massimo questo strumento. È un tema che tocca da vicino la quotidianità, soprattutto per chi deve gestire collaboratori domestici in modo continuativo, spesso in situazioni che richiedono sostegno familiare importante. E qui non si parla solo di ridurre il carico fiscale, ma anche di dare il giusto valore a spese che gravano ogni trimestre sui bilanci familiari. Approfondire queste possibilità significa trasformare un dovere in una piccola strategia di risparmio, resa possibile da norme precise e consolidate.
Nel modello 730/2025 esiste un rigo specifico, l’E23, dedicato ai contributi previdenziali versati all’INPS per il personale domestico. La regola è semplice: può dedurre solo chi ha effettivamente sostenuto il pagamento, cioè il datore di lavoro, e solo per la quota a proprio carico, escludendo quella trattenuta al dipendente.
Si applica il principio di cassa: valgono i contributi pagati nel 2024, anche se riferiti a trimestri precedenti, mentre quelli versati nel 2025 si indicheranno l’anno successivo. Il limite massimo deducibile è pari a 1.549,37 euro per ciascun datore di lavoro. Non basta però aver versato: è necessario conservare le ricevute rilasciate dall’INPS, che devono riportare i dati del rapporto di lavoro, dalle ore di attività ai nominativi di datore e lavoratore. I pagamenti devono essere tracciabili, eseguiti tramite MAV, PagoPA, bonifico bancario o postale. Anche se il pagamento viene effettuato da un familiare, il diritto alla deduzione resta in capo al datore di lavoro. Il vantaggio? Ridurre direttamente il reddito imponibile, con un effetto concreto sul calcolo dell’IRPEF, più incisivo rispetto a una detrazione percentuale.
Chi impiega una badante per assistere una persona non autosufficiente può aggiungere un’altra agevolazione: la detrazione IRPEF del 19 % su un importo massimo di 2.100 euro, a condizione che il reddito complessivo non superi i 40.000 euro. Serve una certificazione medica che attesti la non autosufficienza e la documentazione dei pagamenti. Questa detrazione si cumula alla deduzione dei contributi, creando un doppio beneficio fiscale: riduzione del reddito imponibile e abbattimento dell’imposta lorda. Per sfruttare entrambe le misure, occorre una compilazione attenta del 730 e un’adeguata organizzazione delle ricevute. L’interazione tra questi strumenti consente un risparmio significativo, soprattutto per chi gestisce assistenza familiare continuativa. Sono agevolazioni previste dalla normativa, confermate dall’INPS e dall’Agenzia delle Entrate, ma spesso poco utilizzate. Conoscere queste regole significa non solo alleggerire il carico fiscale, ma anche dare un senso più ampio ai contributi versati, trasformandoli in un vero investimento per la gestione del bilancio familiare.
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