Una verifica fiscale a tappeto su migliaia di titolari di Partita IVA in regime forfettario sta sollevando più di un interrogativo. Dati incrociati, controlli sui conti e soglie di ricavi osservate al millimetro. Chi ha sforato i limiti previsti rischia di vedersi presentare un conto salato, con imposte da recuperare e sanzioni pesanti. Dietro le statistiche, ci sono storie di professionisti che potrebbero trovarsi a fare i conti con un sistema più severo di quanto immaginato.
Negli ultimi mesi l’Agenzia delle Entrate ha acceso un faro su circa 4.000 titolari di Partita IVA in regime forfettario, selezionati perché potenzialmente non in regola con i requisiti per mantenere questa agevolazione. Il focus è sull’anno 2022, ma le irregolarità risalgono spesso al 2021, quando il limite di ricavi era fissato a 65.000 euro. Chi ha superato quella soglia e non è passato al regime ordinario si trova oggi in una posizione delicata. Questo piano di controlli non nasce per colpire solo i grandi evasori: riguarda anche chi, per leggerezza o scarsa consapevolezza, non ha monitorato con attenzione i propri guadagni e le regole di permanenza nel forfettario.
Le verifiche fiscali sono tutt’altro che superficiali. L’Agenzia delle Entrate utilizza strumenti avanzati per incrociare dati provenienti da fatture elettroniche, conti correnti, bonifici e movimenti bancari. Non mancano accessi presso le sedi operative o le abitazioni per acquisire documentazione utile a ricostruire l’attività svolta. In caso di irregolarità, si procede al recupero delle imposte non versate, con sanzioni che possono raggiungere il 240 per cento dell’imposta dovuta. Nei casi più gravi, non si escludono contestazioni penali. Questo approccio, seppur rigoroso, è stato presentato dall’Agenzia come uno strumento per tutelare l’integrità del regime agevolato, riservato a chi rispetta pienamente le regole.
La selezione dei 4.000 contribuenti sotto esame non è casuale. Si tratta di Partite IVA che, secondo i dati dell’Agenzia, non avrebbero più avuto diritto al regime già dal 2022. Un esempio: un professionista che nel 2021 ha incassato 70.000 euro avrebbe dovuto passare al regime ordinario nel 2022.
Se non lo ha fatto, oggi rischia un accertamento con conseguente ricalcolo delle imposte e applicazione delle relative sanzioni. Situazioni analoghe coinvolgono chi nel 2022 ha superato gli 85.000 euro di ricavi: in questo caso è consentito mantenere il regime fino alla fine dell’anno, per poi passare all’ordinario dall’anno successivo. Diverso il discorso per chi ha superato i 100.000 euro: qui la decadenza dal forfettario è immediata, con obbligo di applicare l’IVA già dalla fattura che ha determinato il superamento del limite. I controlli, quindi, non si basano solo sulle dichiarazioni dei redditi, ma su una visione completa dell’attività economica, comprese le spese per collaboratori e i movimenti sui conti.
Il regime forfettario prevede requisiti stringenti: ricavi o compensi entro 85.000 euro nell’anno precedente, spese per collaboratori non oltre 20.000 euro lordi e redditi da lavoro dipendente non superiori a 30.000 euro. Il superamento dei 100.000 euro comporta l’uscita immediata dal regime e l’applicazione dell’IVA da quel momento. Per prevenire problemi, è essenziale monitorare costantemente entrate e uscite, compilare con precisione il quadro RS della dichiarazione dei redditi e conservare una documentazione coerente e completa. Il supporto di un commercialista esperto si rivela fondamentale per gestire correttamente i passaggi di regime, interpretare le soglie e affrontare eventuali contestazioni fiscali. Una gestione accurata permette di evitare spiacevoli sorprese e affrontare eventuali verifiche con maggiore sicurezza.
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