Nel dibattito pubblico si parla molto del sostegno economico alle lavoratrici, ma quasi nulla del nodo giuridico che potrebbe travolgere l’esonero contributivo e il bonus mamme introdotti con il decreto legge 95/2025.
Le due misure, pensate per agevolare le madri lavoratrici, rischiano infatti di generare una discriminazione diretta ai danni dei padri con lo stesso numero di figli e identiche condizioni contrattuali. Una questione che l’ordinamento europeo ha già affrontato e sanzionato.
Il decreto legge numero 95 del 2025 apre interrogativi rilevanti su concetti come “parità di trattamento”, “genitorialità”, “contributi previdenziali” e “bonus economici”, elementi strettamente connessi alla tutela del lavoro e alle politiche per la famiglia.
Le misure destinate alle madri (lo sgravio contributivo fino a 3.000 euro l’anno e il bonus mensile da 40 euro) si basano esclusivamente sul fatto di essere donne e avere figli, senza alcun riferimento alla gravidanza, ai congedi o alle interruzioni della carriera. In questo contesto, termini come discriminazione diretta, Corte di giustizia UE, INPS, Costituzione e principio di uguaglianza assumono un peso determinante e pongono le basi di un possibile contenzioso.
La normativa europea sulla parità di trattamento in materia previdenziale vieta differenze basate sul sesso quando il vantaggio economico riguarda la contribuzione o la futura pensione. L’unica deroga ammessa riguarda la gravidanza o periodi di maternità, condizioni che non rientrano nelle misure del decreto. Una situazione identica è stata già esaminata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso del bonus pensionistico riservato alle sole lavoratrici spagnole con figli. La Corte ha stabilito che, se il beneficio deriva dal fatto di essere genitore, escludere i padri costituisce discriminazione diretta.
Lo scenario italiano, a questo punto, appare molto simile. Ogni padre con tre o più figli potrebbe presentare richiesta all’INPS per ottenere lo stesso sgravio. Se l’ente dovesse negarlo, il ricorso al giudice diventerebbe un passaggio logico, fondato sul principio europeo di non discriminazione.
Il discorso riguarda anche il bonus mamme da 40 euro mensili, nata per sostenere le famiglie, quindi, come misura assistenziale, che non considera l’eguaglianza tra i coniugi, principio sancito dalla Costituzione. Se il bisogno economico di una famiglia con figli è identico, non può variare in base al sesso del genitore che percepisce lo stipendio. La differenza di trattamento non trova alcuna giustificazione legata alla tutela biologica della maternità, rendendo il provvedimento vulnerabile in tema giuridico.
La pensione si allontana sempre di più per molti lavoratori. Dal 2028 gli scenari del…
Le bollette di luce e gas sono ricche di dettagli e di sigle e non…
Basta immaginare che un documento così personale possa esistere solo in copia fa sorgere domande…
Una verifica fiscale a tappeto su migliaia di titolari di Partita IVA in regime forfettario…
All'inizio si presenta un quadro intrigante, fatto di numeri e di volti: un sostegno importante…
Una vicenda sorprendente svelata dall’Arbitro Bancario Finanziario: un cliente aveva versato una cauzione consistente e…