Jeff Bezos è uno dei pochi uomini dei quali si possa dire che abbiano cambiato il colto del commercio mondiale. La sua creatura, Amazon, ha saputo convincere i consumatori di tutto il mondo, non inseguendo scontistiche rapinose, ma venendo in contro concretamente alle esigenze del cliente.
Ma Bezos è un uomo anche molto disinvolto ed Amazon ha spesso portato avanti politiche quantomeno discutibili. I sindacati hanno più volte messo in luce come le modalità di lavoro intensive del colosso siano davvero criticabili.
I dipendenti devono prendere dagli infiniti scaffali la merce richiesta dal cliente ed imbustarla a tempo di record senza un attimo di respiro. Magari anche facendo i propri bisogni in una bottiglia per non perdere tempo. Ma sono tanti i settori nei quali il colosso vuole crescere e vuole “ottimizzare” profitti ed esperienza utente, spesso comprimendo qualcos’altro.
Stavolta è stata l’autorità lussemburghese per la protezione dei dati a comminare ad Amazon la multa senza precedenti di 746 milioni di euro. Pronto l’annuncio di ricorso da parte di Amazon. Vediamo di capire cosa ha portato a questa multa colossale.
Innanzitutto parliamo del 2018. Il teatro della contesa è il Lussemburgo ove Amazon ha la sua sede per ragioni fiscali. Il gruppo francese che si occupa di indagare i crimini contro la privacy dal curioso nome “La Quadrature du Net” presenta un’indagine dalla quale emerge un uso disinvolto dei dati degli utenti a fini pubblicitari.
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La multa giunta in questi giorni è il termine di questa vicenda giudiziaria. Le onde sismiche della sentenza sono state avvertite immediatamente in borsa dove le azioni Amazon hanno perso più del 6,83%. Conseguentemente per il magnate la flessione del suo personale patrimonio sarebbe stata pari a 13,5 miliardi di dollari.
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La questione del consenso dei clienti in merito all’utilizzo dei dati personali è delicatissima e può fruttare davvero tanto alle aziende che da tali dati sviluppano enormi opportunità di advertising.
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