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I NFT sono brutti e dozzinali perché non sono arte, ma souvenir

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Salvatore Dimaggio

Tra i critici d’arte si sta sviluppando un interessante dibattito in merito ai non fungible token.

I critici rimangono sorpresi dalle quotazioni altissime di opere che nella maggior parte dei casi sono buffe gif o immagini generate in cinque minuti secondo l’estetica più banale che impazza su internet. Dunque i non fungible token non solo di solito sono brutti nel senso comune del termine, ma sono brutti persino per i critici. In pratica i critici denunciano come dietro ai non fungible token, anche a quelli che raggiungono cifre stellari ci sia null’altro che una sciatteria e una banalità sconfortante tipica delle immagini più dozzinali che girano su internet. Ma chi investe in non fungible token sta investendo sul talento artistico presunto di chi li ha creati? Se siamo onesti la risposta è: assolutamente no.

Ricordi di una frenesia collettiva

Per gli investitori in non fungible token, l’unica cosa che conta è l’hipe creato attorno al non fungible token e la speranza che aumenti di valore. Tra i non fungible token e le Meme stock c’è pochissima differenza… forse nessuna. Il discorso artistico c’entra poco o nulla nelle quotazioni di queste opere d’arte virtuali, dunque non stupiamoci se ai critici non dicono nulla. I non fungible token sono null’altro che speranze di rialzo cristallizzate e garantite dalla blockchain. Con questo non si vuol dire che non ci siano artisti seri che vogliono realizzare arte nel senso più alto del termine tramite questo strumento. Ma sostanzialmente gli investitori sono più interessati, nella maggior parte dei casi all’hipe di questa tecnologia che ad altro. Vogliono un ricordo unico di questo momento storico e della sua frenesia.

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Forse sarebbe più utile paragonarli ai frammenti del Muro di Berlino venduti ai turisti.

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I NFT sono souvenir di quest’epoca e della sua corsa all’oro virtuale. A nessuno importa che siano belli. Anzi più sono scomposti e più ne catturano la folle frenesia.

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