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Partita IVA, regime forfettario o dei minimi: che differenza c’è e quale è meglio

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Andrea Marras

Chi si trova in procinto di aprire una sua attività, per questioni fiscali ma anche economiche, non può ignorare questa differenza

Coloro che lavorano per conto proprio, prima o poi, si ritroveranno “costretti” ad aprire partita IVA. Si tratta di un passaggio fondamentale, per la vita professionale di ogni singolo individuo. Permette infatti di avere maggiore consapevolezza dei propri mezzi e del proprio progetto, ma soprattutto di agire in piena regola nei confronti del fisco. Ogni volta in cui un processo del genere viene inaugurato, al libero professionista futuro si apre un bivio davanti a sé: regime forfettario o regime dei minimi? Ecco la differenza.

Partita IVA: differenze tra regimi
Partita IVA: sotto quale regime aprirla? (Ilovetrading,it)

Per quanto questi due schieramenti fiscali possano sembrano identici, ci sono in realtà delle differenze sostanziali a cui prestare attenzione. Ma prima di elencarle, è bene fornire una definizione esaustiva per entrambi. Il regime dei minimi, consiste in un regime fiscale che gode di numerose agevolazioni. Per esempio, la semplificazione della contabilità della propria partita IVA. Ci sono tuttavia dei difetti che bisogna sottolineare. Ovvero il divieto di accesso sancito nel 2016.

Regime forfettario e dei minimi: le differenze

Chi ha avuto la fortuna di potervi accedere dal 2008 (anno di inaugurazione, ndr) al 2016, arco temporale di 8 anni dunque, lo potrà fare fino al compimento dei 35 anni di età. Per il periodo, dunque, si trattava di una formula fiscale pensata per i giovani imprenditori. Detto ciò, una delle prime differenze che si riscontra con il regime forfettario riguarda il tetto imposto al fatturato.

Tasse e gestioni semplificate nel regime forfettario
Come cambiano le tasse? (Ilovetrading.it)

Nel caso del regime forfettario si parla di un limite pari a 85.000 euro annuali. Per il regime dei minimi, invece, solo 35.000. Un tetto decisamente più stringente. Ma non è affatto finita qui. La lista dei punti divergenti prosegue su altri fronti.

Se si possiede un’attività di vendita, l’appartenenza al regime dei minimi vieterà all’imprenditore di esportare i propri prodotti al di fuori dell’Europa. Discorso opposto per il regime forfettario, che consente invece di espandere la propria rete di vendita in tutto il mondo e senza distinzioni.

Un’altra differenza sostanziale, riguarda la tematica dell’agevolazione contributiva. Chi appartiene al regime dei minimi, infatti, non avrà diritto ad alcuna agevolazione da questo punto di vista. Mentre invece, i contribuenti facenti parte del regime forfettario avranno diritto ad un’agevolazione pari al 35%. Questo, per quanto concerne commercianti e artigiani. Insomma, alla luce di queste differenze, che non sono soltanto queste, ci si può fare un’idea circa la convenienza di questi due regimi.

Benché non sia possibile appartenere alla categoria dei minimi per direttissima, si può comunque passare al forfettario appartenendo già all’altro regime citato. Questo, grazie ad una procedura che il commercialista dovrà conoscere e apprendere il prima possibile. Eventualmente, se per l’anno successivo, parecchio tempo prima del suo inizio. Una risposta universale e valida per chiunque, come è facile intuire, non esiste.

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