Chi ha percepito la NASpI si chiede spesso se la pensione sarà più leggera. Un dubbio comprensibile, ma non sempre giustificato. Dietro l’apparente penalizzazione si nasconde un sistema più equilibrato di quanto si creda. L’INPS ha meccanismi di tutela poco conosciuti che possono cambiare completamente la prospettiva. La verità? Alcuni periodi senza lavoro non segnano la fine, ma una pausa che può essere ricucita con intelligenza e diritto. Basta saper leggere tra le righe delle norme e conoscere il proprio percorso previdenziale.
Non è raro vivere la fine di un contratto con la sensazione che qualcosa sia andato perduto. Il passaggio dalla disoccupazione alla pensione può sembrare un salto nel vuoto, soprattutto quando si è ricevuto l’assegno mensile della NASpI. Quel periodo, vissuto spesso con frustrazione e timore, ha un impatto sul futuro?

La risposta è meno ovvia di quanto si possa pensare. Alcuni immaginano tagli automatici alla pensione, altri confidano che l’INPS tenga conto anche delle fasi difficili. Tra queste due visioni si colloca la realtà, fatta di norme tecniche ma anche di logica previdenziale. C’è un filo invisibile che collega quei mesi di sussidio al giorno in cui si riceverà il primo assegno pensionistico. E il modo in cui quel filo viene trattato può sorprendere.
NASpI e contributi invisibili: il dettaglio che può salvare la pensione
Durante il periodo in cui si percepisce la NASpI, l’INPS accredita dei contributi figurativi. Anche se non versati effettivamente, questi contributi valgono ai fini della pensione. Nel sistema contributivo, applicato a chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996, ogni contributo conta. Ma c’è un limite. Se la retribuzione virtuale su cui si basano questi contributi supera 1,4 volte l’importo massimo della NASpI mensile, la parte in eccesso non viene considerata.

Questo non vuol dire che la pensione sarà drasticamente ridotta. Nella maggior parte dei casi, l’impatto è minimo. Chi ha avuto stipendi medi o bassi spesso non si accorge nemmeno della differenza. La NASpI non azzera diritti né taglia anni contributivi. Anzi, contribuisce a mantenere continuità nel percorso previdenziale. È un salvagente tecnico, ma molto concreto. Il periodo di disoccupazione, quindi, non si traduce in un buco nero, ma in una parentesi con valore.
Il trucco dell’INPS per evitare sorprese a chi ha iniziato prima del 1996
Per chi ha cominciato a lavorare prima del 1996, entra in gioco il sistema retributivo o misto. Qui la storia è diversa. L’INPS effettua due calcoli: uno considerando i contributi figurativi della NASpI, l’altro senza. Poi sceglie quello più favorevole. Un metodo che tutela chi, magari a fine carriera, si è trovato disoccupato per cause non dipendenti dalla propria volontà.
Un’altra cosa da sapere è che la NASpI è incompatibile con la pensione. Quando si raggiunge il diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata, il sussidio si interrompe, anche se non viene fatta domanda. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione: la semplice maturazione del diritto basta per far decadere la NASpI.
È un passaggio cruciale, che molti ignorano. Ma anche questo fa parte di un sistema pensato per essere coerente, evitando doppie erogazioni ma assicurando un approdo tutelato a chi ha avuto fasi di disoccupazione. Alla fine, la pensione non sempre premia i percorsi lineari. Spesso, a essere premiata è la capacità del sistema di riconoscere anche i momenti più fragili.