Una passeggiata può costare il posto? Oppure, in certi casi, è proprio quella camminata a garantire un’assistenza migliore? Il confine tra diritto e abuso nei permessi della Legge 104 non è sempre netto. Ogni gesto quotidiano può finire sotto la lente del datore di lavoro, ma non sempre c’è un illecito. Esiste un equilibrio, e lo stabilisce anche la giurisprudenza.
Non è solo una questione legale, ma anche umana. Il benessere di chi assiste è fondamentale quanto quello di chi viene assistito. Ma come dimostrarlo senza finire nei guai? Alcune sentenze recenti lo chiariscono bene. Al centro, sempre, il buon senso.
I permessi concessi dalla Legge 104 sono una risorsa preziosa, ma vanno usati con responsabilità. Un uso scorretto può portare a provvedimenti durissimi, persino al licenziamento. Tuttavia, non tutte le attività personali sono vietate. Alcune possono rientrare nel perimetro della legalità, purché non compromettano la cura.

Chi si prende cura di un familiare sa quanto possa essere pesante la giornata, e quanto sia necessario, ogni tanto, ricaricare le batterie. La legge lo permette, ma solo entro certi limiti. A raccontarlo sono i tribunali, con decisioni sempre più orientate alla tutela del caregiver responsabile.
Permesso 104 e attività personali: quando è concesso prendersi un momento per sé senza rischiare sanzioni
Tra le domande più comuni c’è quella che divide lavoratori e aziende: è legittimo utilizzare il permesso retribuito previsto dalla Legge 104 per attività non strettamente legate all’assistenza? La risposta non è mai secca. L’articolo 33 della legge parla chiaro: quei giorni sono destinati ad assistere un familiare con disabilità grave. Ma cosa significa “assistenza”?

Secondo varie sentenze, non vuol dire stare fisicamente accanto alla persona per tutte le 24 ore. L’assistenza può essere organizzata in modi diversi, anche con l’aiuto di altri. L’importante è che non venga meno la finalità principale del permesso: offrire supporto al familiare.
Una decisione emblematica della Cassazione ha fatto scuola: una dipendente era stata licenziata perché, durante un giorno di permesso, si era concessa una camminata per motivi terapeutici legati a una patologia respiratoria. Il giudice ha ritenuto che quella passeggiata non avesse interrotto l’assistenza, che continuava ad essere garantita da una collaboratrice familiare e dalla presenza della lavoratrice stessa in casa.
Questo non apre le porte a un uso libero del tempo, ma conferma che il diritto alla salute e al benessere del caregiver non può essere ignorato. È un punto di equilibrio: se l’attività personale è breve, giustificata e non danneggia l’assistenza, allora non rappresenta un abuso.
Legge 104 e licenziamento: quando il comportamento del lavoratore mette davvero a rischio il posto
Il fatto che un’attività personale possa essere tollerata non significa che ogni uscita o svago sia giustificabile. La legge protegge i lavoratori corretti, non chi usa i permessi 104 come giorni extra di ferie. L’uso scorretto e sistematico del tempo concesso può portare a sanzioni gravi.
La linea rossa è chiara: se il lavoratore, pur formalmente in permesso per assistenza, dedica l’intera giornata a scopi estranei e lascia il familiare privo di supporto, l’azienda ha il diritto di intervenire. In questi casi, la prova del mancato rispetto della finalità assistenziale può legittimare il licenziamento.
Ma la situazione cambia quando il lavoratore dimostra coerenza, organizzazione e coinvolgimento nella cura. Una breve attività personale può essere compatibile, se risponde a un bisogno reale e se il familiare non viene mai lasciato solo o in difficoltà.
La giurisprudenza, sempre più spesso, valorizza il contesto. Non si tratta di chiudere un occhio, ma di leggere la realtà per quella che è. Prendersi cura significa anche mantenere il proprio equilibrio. La Legge 104, in fondo, è pensata per questo: aiutare chi aiuta.