Non tutti i lavoratori hanno le stesse regole quando si parla di pensione. Esiste una categoria poco conosciuta, ma destinata a crescere sempre più: quella dei contributivi puri. Per loro, ogni euro versato conta davvero, e il futuro pensionistico si gioca tutto su contributi e tempistiche. In questo sistema non c’è spazio per calcoli basati sugli stipendi finali o sulle medie retributive: si parte da zero e si costruisce giorno per giorno. Ma cosa significa vivere la pensione con queste regole? E soprattutto, quali possibilità concrete esistono per chi ha iniziato a lavorare dopo una data chiave? Le risposte non sono sempre ovvie, ma possono cambiare le prospettive di una vita intera.
C’è chi ha iniziato a lavorare nel momento in cui il mondo del lavoro stava cambiando profondamente. Contratti precari, carriere frammentate, salti da un impiego all’altro. Chi è entrato nel mercato dal 1996 in poi ha dovuto affrontare una realtà diversa rispetto a quella delle generazioni precedenti.
E il riflesso più forte si nota proprio al momento della pensione. Non si tratta solo di “quando” si andrà in pensione, ma anche di “quanto” si riceverà. I contributivi puri, infatti, non beneficiano delle regole più favorevoli del passato. Ogni scelta fatta durante la carriera può influire sull’importo dell’assegno. E non sempre l’uscita dal lavoro coincide con i 67 anni.
Chi ha iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996 appartiene alla categoria dei contributivi puri. Questo significa che la pensione viene calcolata esclusivamente sulla base di quanto è stato effettivamente versato. Nessuna parte retributiva, nessun vantaggio “storico”. Solo contributi reali e coefficiente di trasformazione legato all’età di uscita. Un sistema che premia chi ha avuto una carriera lunga e costante, ma che penalizza chi ha subito interruzioni, disoccupazioni o salari bassi.
Per accedere alla pensione di vecchiaia, serve aver compiuto 67 anni, avere almeno 20 anni di contributi effettivi e che l’importo della pensione superi almeno una volta l’assegno sociale (circa 534 euro nel 2025). Se questa soglia non viene raggiunta, anche con i 20 anni di versamenti, la pensione non scatta. Una possibile alternativa, però, esiste: attendere i 71 anni, accedendo alla pensione con almeno 5 anni di contributi effettivi, senza vincoli economici sull’importo. Una sorta di paracadute per chi ha avuto carriere discontinue.
Esiste anche la possibilità per i contributivi puri di andare in pensione a 64 anni, ma si tratta di una strada molto selettiva. La cosiddetta “pensione anticipata contributiva” richiede almeno 20 anni di contributi effettivi, esclusi quelli figurativi, e un assegno di almeno tre volte l’importo dell’assegno sociale. Nel 2025, questo significa circa 1.500 euro lordi mensili. Non è una soglia facile da raggiungere, soprattutto per chi ha avuto stipendi contenuti o carriere brevi.
Chi non riesce a soddisfare questi requisiti ha due alternative principali: attendere i 67 anni cercando di integrare l’importo con forme di previdenza complementare, oppure posticipare l’uscita a 71 anni, quando l’accesso non richiede soglie minime. In entrambi i casi, è fondamentale conoscere in anticipo la propria situazione previdenziale. L’estratto conto INPS, accessibile online, diventa uno strumento chiave. E se i conti non tornano, rivolgersi a un patronato può fare la differenza.
Una lettera, un controllo, un errore passato che riemerge: a volte basta questo per riscrivere…
Un padre separato, uno stipendio che basta appena per vivere, un mutuo da pagare e…
Non è solo una nuova sanatoria fiscale: questa misura potrebbe davvero alleggerire il carico delle…
Quanto costa davvero chiedere un giorno per assistere chi si ama? Una recente decisione della…
Molti pensano che tenere soldi in una banca all’estero sia un modo sicuro per proteggersi…
Tre titoli obbligazionari, tre cedole robuste e una sola possibile direzione: in alto. Un taglio…