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Quando una foto costa il lavoro: storie di licenziamenti legati ai social network

Gerardo Marciano

Può davvero un semplice post sui social mettere fine a un rapporto di lavoro? Una foto condivisa con leggerezza, un video pubblicato senza pensarci troppo: gesti che sembrano innocui, ma che possono trasformarsi in prove schiaccianti nelle mani di chi osserva con occhi diversi.

Oggi le immagini pubblicate online non raccontano solo momenti di vita privata, ma diventano anche strumenti che possono influenzare profondamente un legame professionale. Quanto vale la fiducia quando ciò che si mostra al pubblico non coincide con ciò che si dichiara all’azienda? In un’epoca in cui i confini tra vita personale e lavorativa si fanno sempre più sottili, le conseguenze possono essere molto più gravi di quello che si immagina. E, a volte, basta un singolo contenuto per cambiare il corso di una carriera. È davvero così facile superare quella linea invisibile tra libertà e responsabilità?

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Quando una foto costa il lavoro: storie di licenziamenti legati ai social network-ilovetrading.it

La questione si complica perché ciò che viene pubblicato non rimane mai del tutto privato. Anche un profilo chiuso può aprire spiragli inattesi e le immagini possono finire sotto occhi non previsti. Quando chi osserva è il datore di lavoro, il significato di un post cambia radicalmente. Oggi i social non sono più solo vetrine di momenti personali, ma diventano anche strumenti attraverso cui si misura la coerenza di un comportamento con le dichiarazioni fatte in azienda. È questo il terreno scivoloso su cui si muove il delicato equilibrio tra vita privata e vincoli professionali. Quel che sembra un dettaglio irrilevante, agli occhi di chi ha affidato un ruolo, può trasformarsi in un segnale di inaffidabilità. E allora, prima di condividere, la vera domanda diventa: quanto può costare davvero un semplice post?

Quando un post sui social diventa la prova che giustifica un licenziamento immediato

Il caso più eclatante riguarda la Corte d’Appello di Roma, che con la sentenza n. 4047/2025 ha confermato il licenziamento di un dipendente in malattia che pubblicava video di intensi allenamenti in palestra. Quelle immagini, incompatibili con il certificato medico, hanno minato la fiducia e giustificato la risoluzione del rapporto. Non si tratta di un caso isolato. La giurisprudenza italiana ha più volte ribadito che i principi di correttezza e buona fede, previsti dagli articoli 1175 e 1375 del Codice Civile, valgono anche durante permessi e malattia: non basta rispettare le fasce di reperibilità, serve coerenza tra condotta e stato dichiarato.

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Quando un post sui social diventa la prova che giustifica un licenziamento immediato-ilovetrading.it

A Napoli, il Tribunale (sentenza n. 658/2025) ha confermato il licenziamento di un dipendente che, pur avendo chiesto un permesso studio, pubblicava foto in vacanza. Stesso esito a Benevento, dove un lavoratore in malattia, ripreso mentre si esibiva con la sua band, è stato licenziato con la convalida del tribunale (sentenza n. 1053/2024). In questi episodi, ciò che emerge è chiaro: quando un contenuto online entra in conflitto con quanto dichiarato all’azienda, il rapporto fiduciario rischia di spezzarsi in modo irreparabile.

Il fragile equilibrio tra libertà di espressione e responsabilità professionale

Non sempre, però, le cose finiscono così. In Spagna, il Tribunal Superior de Justicia de Castilla y León (sentenza n. 260/2025) ha annullato il licenziamento di una influencer in malattia per disturbi d’ansia che continuava a pubblicare contenuti sponsorizzati. Secondo i giudici, quelle attività non erano incompatibili con lo stato di salute né avevano compromesso la fiducia. Ma quando i social toccano direttamente l’immagine aziendale, le conseguenze possono cambiare. È successo a Roma, dove una commessa ha pubblicato su TikTok un video ironico contro il capo e il negozio: il Tribunale (sentenza n. 6854/2023) ha confermato il licenziamento, ritenendo il contenuto lesivo per l’immagine dell’azienda. Questi episodi mostrano come i social non siano uno spazio privo di conseguenze. Ogni gesto pubblico racconta qualcosa, e ciò che sembra leggero può diventare decisivo. Forse la vera riflessione da fare non è su cosa si possa pubblicare, ma su quanto si è disposti a rischiare in termini di fiducia, reputazione e futuro professionale.

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