C’è un rischio concreto di perdere il diritto all’assegno mensile INPS. La NASpI, che rappresenta un sostegno fondamentale per chi perde il lavoro, dal 2025 cambia volto. Basta una distrazione, un requisito non rispettato, per veder svanire un’indennità che per molti è sinonimo di sicurezza. Il nuovo sistema introdotto dalla legge di bilancio 2025 aggiunge condizioni precise e non lascia spazio a errori. Si tratta di una modifica che può sembrare tecnica ma che, nei fatti, decide chi resterà coperto e chi no.
Perdere un impiego è sempre un momento complesso e avere accesso alla NASpI fa spesso la differenza. Eppure, dietro una domanda apparentemente semplice, si nasconde una normativa in continua evoluzione. Il cambiamento non riguarda soltanto le dimissioni volontarie, ma anche le condizioni per ottenere la prestazione dopo un nuovo impiego.
Piccoli dettagli, come il conteggio delle settimane contributive o i termini per la presentazione della domanda, possono trasformarsi in ostacoli enormi. Non è raro pensare di avere tutti i requisiti in regola per poi scoprire che, invece, manca qualcosa di essenziale.
La novità più rilevante riguarda chi ha lasciato un lavoro volontariamente o di comune accordo e successivamente si trova senza impiego. Dal 1° gennaio 2025, per poter accedere alla NASpI dopo una nuova cessazione involontaria, sarà necessario aver maturato almeno tredici settimane di contribuzione nel nuovo rapporto di lavoro entro dodici mesi dalle dimissioni. Questo significa che, se si lascia un posto e si viene riassunti, non basterà subire un nuovo licenziamento per avere diritto alla prestazione: servirà anche un minimo contributivo maturato nel nuovo contratto.
Secondo le istruzioni INPS, vengono considerate valide settimane di lavoro subordinato, contributi figurativi legati a maternità o congedi parentali e periodi di lavoro riconosciuti in Paesi UE. Senza il raggiungimento di questo requisito, la richiesta di NASpI viene respinta. È una condizione che punta a limitare comportamenti opportunistici, ma che allo stesso tempo richiede molta attenzione a chi si trova in situazioni di transizione lavorativa. Anche un errore nel calcolo delle settimane può compromettere l’accesso alla prestazione.
Non tutte le dimissioni volontarie fanno perdere il diritto alla NASpI. Restano salve le dimissioni per giusta causa, ossia quando il datore di lavoro commette gravi violazioni come mancati pagamenti, molestie, mobbing o trasferimenti non giustificati. In queste situazioni, la legge equipara le dimissioni a un licenziamento involontario e non impone il requisito delle tredici settimane. Lo stesso vale per le dimissioni durante il periodo di tutela di maternità o paternità, che va dai 300 giorni prima del parto fino al compimento del primo anno di vita del bambino, purché convalidate dall’Ispettorato del Lavoro.
Un’altra eccezione riguarda le risoluzioni consensuali avvenute nell’ambito di procedure di conciliazione previste dalla legge: anche in questo caso l’accesso alla NASpI rimane garantito. Tuttavia, ogni richiesta deve essere corredata da documentazione chiara e presentata entro i termini, generalmente 68 giorni dalla cessazione del rapporto. È fondamentale non trascurare questi passaggi formali: basta poco per perdere un diritto che può rappresentare una risorsa cruciale.
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