Per anni il metodo retributivo ha rappresentato un simbolo di sicurezza. Il suo funzionamento era semplice: la pensione veniva calcolata sulla media delle ultime retribuzioni percepite, rivalutate per tenere conto dell’inflazione, e moltiplicate per un’aliquota di rendimento che, nella maggior parte dei casi, arrivava fino al 2% per ogni anno di contributi.
Questo meccanismo premiava le carriere stabili e crescenti, garantendo un assegno finale spesso vicino al 70-80% dell’ultimo stipendio. Tuttavia, proprio questa generosità è diventata insostenibile per le casse pubbliche, portando negli anni ’90 a un ripensamento complessivo del sistema. Con le riforme previdenziali, il retributivo è stato ridimensionato e sostituito progressivamente dal contributivo, più legato ai versamenti reali effettuati durante la carriera.
Chi può andare in pensione con il metodo retributivo? Possono godere di questo sistema solo coloro che al 31 dicembre 1995 avevano maturato almeno 18 anni di contributi. Per questi lavoratori, la pensione viene calcolata con il retributivo fino al 31 dicembre 2011, mentre dal 1° gennaio 2012 anche per loro si applica il contributivo, dando vita a un calcolo “misto”. Chi, invece, al 1995 aveva meno di 18 anni di contributi rientra in un sistema ibrido già da prima, con una parte di pensione calcolata col retributivo (fino al 1995) e la restante con il contributivo.
Il retributivo puro, quindi, non esiste più per le pensioni future, ma sopravvive solo per quella quota maturata entro i limiti di legge. Questa differenza ha creato una vera frattura tra chi aveva una carriera contributiva consolidata già negli anni ’90 e chi, invece, si era appena affacciato al mondo del lavoro. Prendiamo un esempio concreto: un lavoratore dipendente con 35 anni di contributi al 2011 e una retribuzione media rivalutata di 30.000 euro avrà per quella parte un assegno calcolato con il retributivo pari a circa il 70% dello stipendio, mentre per i contributi successivi entreranno in gioco le regole del contributivo. Un cambiamento che ha ridisegnato completamente le aspettative dei lavoratori, soprattutto di chi è entrato nel mercato dopo il 1996.
Il retributivo oggi è considerato un privilegio per chi ha avuto la possibilità di accumulare una lunga anzianità contributiva prima delle riforme. Il suo principale vantaggio resta evidente: garantire pensioni più alte e più vicine all’ultimo reddito percepito. Ma questo beneficio ha avuto un costo altissimo per lo Stato, perché spesso le prestazioni superavano l’effettivo ammontare dei contributi versati. Il contributivo, invece, lega strettamente la pensione ai versamenti fatti e li rivaluta in base alla crescita economica, introducendo coefficienti legati all’età di uscita dal lavoro. Questo ha ridotto il tasso di sostituzione, cioè la percentuale dello stipendio coperta dalla pensione, spingendo molti a valutare soluzioni integrative.
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