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Stretta sugli affitti brevi: oltre alle nuove regole dal 2026, Comuni e Regioni potranno limitarli o bloccarli

Angelina Tortora

Negli ultimi anni gli affitti brevi, la locazione turistica e il ruolo delle piattaforme extra-alberghiere hanno trasformato profondamente il tessuto urbano di molte città italiane.

Oggi, però, qualcosa si muove sul piano giuridico e istituzionale. Una sentenza della Corte Costituzionale introduce un principio destinato a incidere sulle scelte dei proprietari e sulle politiche locali, senza porre divieti automatici, ma ridefinendo le regole del gioco.

Affitti brevi
Stretta sugli affitti brevi: oltre alle nuove regole dal 2026, Comuni e Regioni potranno limitarli o bloccarli (Ilovetrading.it)

La questione non riguarda solo il mercato immobiliare, ma tocca anche l’urbanistica, la sostenibilità sociale, il governo del territorio e il diritto di proprietà, in un equilibrio che fino a ieri sembrava consolidato e che ora appare in evoluzione.

Affitti brevi: la Corte Costituzionale cambia il perimetro del diritto di proprietà

Con la sentenza n. 186/2025, la Corte Costituzionale chiarisce un punto chiave: la destinazione di un immobile residenziale alla locazione turistica non rappresenta un elemento essenziale del diritto di proprietà. In altre parole, possedere un immobile non implica automaticamente la libertà di utilizzarlo in qualsiasi forma economica, soprattutto quando l’attività assume carattere stabile, organizzato e con un impatto rilevante sul contesto urbano.

La decisione nasce dal giudizio sulla normativa adottata dalla Regione Toscana, contestata dal Governo per presunti profili di incostituzionalità. La Consulta respinge i rilievi e riconosce agli enti territoriali un’ampia discrezionalità nel regolamentare gli affitti brevi, purché l’intervento risponda a finalità sociali e urbanistiche e non si traduca in una compressione arbitraria della proprietà privata.

Secondo la Corte, la libertà economica non costituisce un valore assoluto, ma una variabile da armonizzare con interessi collettivi come l’equilibrio abitativo, la qualità della vita dei residenti e la sostenibilità territoriale. In questa prospettiva, la locazione turistica continua a essere lecita, ma può essere limitata, regolata o indirizzata in base alle caratteristiche del territorio.

La pronuncia apre concretamente la strada a due direttrici di intervento. Da un lato, Regioni e Comuni possono differenziare l’uso degli immobili, riservando la locazione turistica continuativa a immobili con destinazione turistico-ricettiva, separandola dall’uso residenziale. Questa scelta incide su aspetti urbanistici, fiscali e patrimoniali, perché obbliga il proprietario a una decisione strutturale e non facilmente reversibile.

Dall’altro lato, gli enti locali ottengono il via libera a intervenire per aree omogenee, individuando zone dove la concentrazione di affitti brevi altera l’equilibrio abitativo o alimenta fenomeni di overtourism. La Corte fonda questa possibilità sulla maggiore prossimità dei Comuni al territorio, considerata il presupposto per una regolazione mirata e proporzionata.

In effetti, un Comune può limitare o vietare la locazione turistica in alcune zone residenziali particolarmente sotto pressione, senza estendere automaticamente il divieto all’intero territorio. Non si parla di espropriazione mascherata, ma di governo dell’uso del suolo, coerente con la funzione sociale della proprietà privata.

I sindaci e le amministrazioni locali vedono finalmente riconosciuti strumenti efficaci per gestire un fenomeno cresciuto in modo disordinato. Al contrario, operatori immobiliari e piattaforme di affitto turistico temono una riduzione del valore degli immobili, una contrazione dell’offerta extra-alberghiera e un aumento dei contenziosi amministrativi, soprattutto in presenza di regole diverse da Comune a Comune.

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