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Pensione di invalidità di 603,40 euro al mese per tutti senza esclusioni, la Corte Costituzionale cambia il futuro di tanti pensionati invalidi

Gerardo Marciano

603 euro che fanno la differenza: una sentenza ha riscritto i diritti di chi da troppo tempo veniva ignorato. Nessun rimborso per il passato, ma un nuovo inizio da oggi. Un cambiamento silenzioso, ma potentissimo. Per tanti invalidi, l’assegno mensile non sarà più un’elemosina, ma un sostegno concreto. Una soglia minima che non sarà più negata a nessuno, finalmente.

Da un lato una cifra, 603,40 euro. Dall’altro, vite intere segnate da disabilità e da assegni ridotti all’osso. Per chi ha sempre versato contributi, ma solo dopo il 1996, quell’importo sembrava irraggiungibile. Un confine rigido, figlio di una riforma vecchia quasi trent’anni, la Dini. Ma adesso qualcosa è cambiato.

Pensionati felici che hanno in mano banconote e salvadanaio
603,40 euro al mese per tutti: la Corte Costituzionale cambia il futuro di tanti pensionati invalidi-ilovetrading.it

Il sistema previdenziale italiano, spesso considerato immobile, ha avuto una scossa. La Corte Costituzionale ha dato voce a chi finora era rimasto escluso. E lo ha fatto con una sentenza che ha un peso enorme. Perché quando lo Stato riconosce un’ingiustizia, anche senza rimborsare il passato, segna comunque una nuova rotta.

603 euro al mese anche per i lavoratori “contributivi”: perché la Consulta ha detto basta alle esclusioni

La sentenza n. 94 del 2025 ha dichiarato illegittima una parte della riforma Dini, quella che escludeva l’integrazione al minimo per chi aveva versato contributi solo dal 1996 in poi. Fino a oggi, infatti, l’assegno di invalidità poteva essere portato a 603,40 euro mensili solo se si rientrava nel vecchio sistema retributivo o misto. Chi era nel contributivo puro, invece, restava sotto.

Pensionata che ha in mano un ventaglio di banconote da 100 euro
603 euro al mese anche per i lavoratori “contributivi”: perché la Consulta ha detto basta alle esclusioni-ilovetrading.it

La Corte ha chiarito che questa disparità non ha più ragione di esistere. L’integrazione al minimo, infatti, è finanziata dalla fiscalità generale, non pesa sui contributi previdenziali e non minaccia l’equilibrio dei conti pubblici. È una forma di assistenza che non può escludere chi ha una disabilità solo perché ha iniziato a lavorare più tardi.

Chi ha diritto a questo adeguamento? Tutti i titolari di assegno ordinario di invalidità che abbiano versato almeno cinque anni di contributi, di cui tre negli ultimi cinque anni precedenti alla domanda, e che rientrano nel regime contributivo puro. L’assegno spetta solo se è riconosciuta una riduzione permanente della capacità lavorativa a meno di un terzo.

Per ottenere l’integrazione, non serve una nuova domanda: sarà l’INPS ad adeguare gli importi nei prossimi mesi, in base alla nuova normativa. Tuttavia, è possibile monitorare la propria situazione accedendo con SPID al fascicolo previdenziale del cittadino, o rivolgendosi ai patronati per assistenza. In caso di dubbi o omissioni, è sempre consigliato inviare una richiesta di riesame all’INPS.

L’assegno di invalidità cambia volto: una nuova tutela, ma niente risarcimenti per il passato

Chi riceve l’assegno ordinario di invalidità ha spesso visto importi bassissimi, insufficienti persino a coprire le spese essenziali. La causa? Un sistema che premiava solo chi aveva contributi prima del 1996. Ora, però, si chiude un’epoca di esclusione. La Consulta ha riconosciuto che l’invalidità non può essere penalizzata da criteri anagrafici o normativi.

Certo, non tutto è stato corretto. Gli anni trascorsi con un assegno minimo resteranno senza risarcimento. La Corte ha preferito non destabilizzare i conti pubblici. Ma la direzione è chiara: più giustizia, più equità. E forse, più attenzione alle persone, prima che alle cifre.

Questo adeguamento, seppure solo per il futuro, apre un nuovo scenario per i lavoratori fragili. Significa riconoscere il valore del lavoro svolto, anche se non accompagnato da lunghe carriere. E significa anche, finalmente, restituire a tanti cittadini una base economica più stabile, con cui affrontare malattia e disabilità.

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