Quanto costa davvero chiedere un giorno per assistere chi si ama? Una recente decisione della Cassazione ha stravolto le regole che molti pensavano immutabili. Non si tratta solo di permessi e documenti, ma di dignità, diritti e fiducia sul luogo di lavoro. Quando la legge garantisce, ma il clima aziendale frena, è lì che iniziano i veri ostacoli. Una novità legale rischia di cambiare le abitudini di molti, mettendo in discussione licenziamenti, richieste formali e rapporti di forza tra dipendenti e datori. Eppure, dietro una norma, c’è molto di più: una realtà fatta di esigenze quotidiane, aspettative, paure e responsabilità condivise.
A volte basta una mattina fuori programma per far saltare tutta l’organizzazione. Chi vive accanto a una persona con disabilità grave sa bene quanto sia complicato restare presenti, sul lavoro e nella cura. La Legge 104, con i suoi tre giorni di permesso retribuito al mese, promette un aiuto concreto. Ma tra regole scritte, circolari INPS e relazioni professionali, il confine tra ciò che si può fare e ciò che conviene fare è sottile.

Fino a poco tempo fa, tanti lavoratori credevano che fosse obbligatorio ottenere un’autorizzazione dal proprio capo per usare i permessi. La paura di essere giudicati o sanzionati era reale. Ma un chiarimento della Cassazione ha sparigliato le carte, offrendo una nuova chiave di lettura, molto più favorevole per chi assiste un familiare fragile o vive una condizione personale di disabilità.
Quando la Corte dice basta: non serve più il via libera del capo per i permessi 104
Con l’ordinanza n. 5611 del 3 marzo 2025, la Corte di Cassazione ha messo un punto fermo: i permessi della Legge 104 rappresentano un diritto soggettivo pieno, e non richiedono alcuna autorizzazione da parte del datore di lavoro. Nessun modulo da far firmare, nessun consenso da attendere. Se l’INPS ha dato l’ok, il permesso è valido. Punto.

Questa precisazione è destinata a fare la differenza in moltissimi ambienti di lavoro, dove finora prevaleva la prassi della richiesta scritta e della concessione più o meno discrezionale. Ma attenzione: la libertà di utilizzare il permesso non elimina ogni obbligo. La Corte sottolinea infatti che il lavoratore è comunque tenuto a informare l’azienda con un preavviso ragionevole.
Non per chiedere il permesso, ma per permettere una gestione organizzativa serena e corretta. Questo passaggio non è secondario, perché il mancato preavviso, sebbene non possa automaticamente giustificare un licenziamento, può generare tensioni o sanzioni in presenza di regolamenti interni precisi.
Permessi 104 tra diritto alla cura e doveri verso l’azienda: cosa cambia davvero per i lavoratori
Al di là della normativa, resta il fatto che chi usufruisce dei permessi retribuiti ha anche il compito di gestirli con responsabilità. La relazione tra dipendente e datore di lavoro è fatta anche di fiducia, e ignorarla può danneggiare entrambe le parti. Il lavoratore deve comunicare eventuali variazioni all’INPS, come il cambio di datore, il trasferimento o il venir meno della necessità di assistenza. Omettere queste informazioni può portare a sospensioni o revoche del beneficio.
La sentenza del 2025 non libera da ogni dovere, ma restituisce centralità a chi vive situazioni familiari difficili. Il datore di lavoro, da parte sua, può sempre verificare la correttezza della documentazione, e se c’è un uso scorretto o fraudolento, ha tutto il diritto di agire disciplinarmente.