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NFT: le case di moda hanno scoperto come far pagare la firma anche se non apposta su nulla.

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Salvatore Dimaggio

I non fungible token stanno rivoluzionando il mercato della moda dopo aver già fatto lo stesso con il mercato dell’arte.

I non fungible token sono semplicemente dei file ma resi unici dalla tecnologia blockchain. I primi a fiutare il business di questi oggetti virtuali trattati come unici e rari sono stati nel mondo dei videogame. Trofei power up semplici gif hanno cominciato a circolare a prezzi stellari. Poi è stato il mondo del fandom con fumetti e serie TV che mettevano in vendita i loro non fungible token apprezzi veramente alti per gli appassionati sfegatati. Poi è arrivata l’arte. Perché un artista non poteva fare una JPEG o un video di qualche istante bloccarlo con la blockchain e venderlo a cifre notevoli? E anche l’arte ha cominciato interessarsi ai non fungible token.

Tutti ne approfittano, ma per quanto?

Anzi diciamo proprio che è stata l’arte quella ad essere rivoluzionata più nel profondo dai non fungible token tanto che ormai quando si sente parlare di un artista la prima cosa che si chiede e quali sono stati gli ultimi non fungible token che ha piazzato nei marketplace appositi. Ma ad un certo punto è arrivata anche la moda. Il mercato della moda e del lusso onestamente prende a pretesto l’abito la borsa l’accessorio ma ciò che viene fatto pagare è il nome del Brand punto E allora a questo punto perché non vendere il nome del brand allo stato puro? I NFT consentono di fare questo e ne hanno approfittato Dolce e Gabbana e anche tantissimi altri stilisti.

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Le sinergie anche più bizzarre ormai non si contano più. Pensate che Vuitton ha brandizzato un forziere virtuale posto dentro un videogioco per una cifra folle.

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È un mercato interessante è pienamente legittimo ma il rischio bolla è in agguato. Anzi la marea si va abbassando perché secondo gli esperti il mercato al netto di cifre clamorose pagate per singoli pezzi e ampiamente il

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