Con la Manovra 2026, il riscatto della laurea si trasforma in un’illusione costosa, ciò che sembrava un vantaggio previdenziale rischia di diventare una vera beffa per migliaia di lavoratori.
La pensione anticipata, il riscatto della laurea e la Legge di Bilancio 2026 tornano al centro del dibattito previdenziale. Le nuove regole disegnate dal Governo incidono su scelte compiute anni fa e mettono in discussione uno degli strumenti più utilizzati per accorciare la carriera lavorativa.
Chi ha investito nel riscatto degli anni universitari lo ha fatto confidando in regole stabili, ma dal 2031 lo scenario cambia. La riforma agisce in modo selettivo, riduce l’efficacia dei contributi riscattati e spinge sempre più persone verso la pensione di vecchiaia. Il tema riguarda soprattutto i laureati, i giovani lavoratori e chi pianifica con largo anticipo l’uscita dal lavoro, ma coinvolge anche chi ha già versato migliaia di euro contando su un’uscita anticipata certa.
Il riscatto della laurea continua a esistere e mantiene il suo valore contributivo, ma perde forza come strumento per raggiungere prima la pensione anticipata. La Manovra 2026 introduce una riduzione progressiva dei mesi riconosciuti ai fini del requisito contributivo necessario per lasciare il lavoro indipendentemente dall’età. Il sistema non cancella i contributi riscattati e non li elimina dall’estratto conto, ma li rende parzialmente inutilizzabili per arrivare ai 42 anni e 10 mesi richiesti agli uomini e ai 41 anni e 10 mesi previsti per le donne.
Dal 2031 in poi, lo Stato riconosce solo una parte degli anni di studio riscattati quando il lavoratore chiede la pensione anticipata. Il meccanismo colpisce in modo crescente chi matura i requisiti negli anni successivi, fino ad arrivare a una decurtazione stabile che riduce drasticamente l’effetto “scivolo” del riscatto. Chi ha pagato l’intero costo del riscatto continua a finanziare il sistema, ma non ottiene più il vantaggio temporale promesso al momento della scelta.
La logica della riforma punta a contenere la spesa previdenziale e a spingere i lavoratori verso l’età ordinaria di vecchiaia, destinata a crescere con le prossime revisioni del sistema pensionistico. L’effetto concreto, però, pesa soprattutto su chi ha riscattato una laurea triennale o un percorso 3+2. Dal 2035, il taglio arriva a 30 mesi e rende evidente la sproporzione tra quanto versato e quanto effettivamente utilizzabile per anticipare l’uscita dal lavoro.
Il riscatto mantiene valore per il calcolo dell’assegno e per il raggiungimento dei 20 anni necessari alla pensione di vecchiaia a 67 anni, ma perde la funzione strategica che lo aveva reso appetibile. Chi aveva pianificato l’uscita con largo anticipo si trova ora davanti a un orizzonte più lungo e meno prevedibile.
Immaginiamo un lavoratore che ha riscattato tre anni di laurea subito dopo l’ingresso nel mondo del lavoro, investendo una somma rilevante per anticipare la pensione. Se maturerà i requisiti nel 2035, di quei 36 mesi riscattati solo sei mesi risulteranno utili per raggiungere la soglia della pensione anticipata. Il resto resterà valido solo per l’importo dell’assegno. In termini concreti, il lavoratore dovrà restare al lavoro circa due anni e mezzo in più rispetto a quanto programmato, pur avendo già pagato il riscatto per intero. La scelta che doveva garantire libertà e flessibilità si trasforma in un vincolo.
Dicembre 2025 porta una novità attesa da molte famiglie: l’INPS anticipa i pagamenti di Assegno…
Il canone Rai torna al centro dell’attenzione con l’avvicinarsi del 2026 e non tutti sanno…
I controlli sul Superbonus 110% entrano nella fase decisiva e non riguardano più solo carte…
Una bozza di decreto potrebbe cambiare radicalmente il sistema dei controlli sulle caldaie domestiche in…
Il 2026 conferma una serie di bonus fondamentali dedicate alla popolazione anziana, con misure che…
La corsa contro il tempo per la riforma delle pensioni entra nel vivo e il…