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I giovani fuggono dalla libera professione e cercano il posto fisso. (Dopo anni di vuota retorica)

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Salvatore Dimaggio

Dopo anni di retorica arriva la dura realtà. Abbiamo passato tutti gli anni 80, 90 e 2000 a sentire le mitiche virtù del mettersi in proprio.

“Ma che noia il posto fisso! Ma com’è alienante fare sempre le stesse cose! vuoi mettere la bellezza di essere imprenditore di te stesso! Lavorare in proprio: crescere ed arricchirti senza limiti sentendo sempre il brivido della sfida e avendo continuamente sempre nuove opportunità di crescita!” Questo è quello che ci ha ripetuto la propaganda. La dura realtà invece è che le partite IVA lavorano 12 ore al giorno, rinunciano spesso persino all’idea di mettere su famiglia e di fare figli semplicemente perché con turni di lavoro autoimposti da schiavitù e con un’incertezza cronica sul futuro e con una tassazione spaventosa per cui lo stato si mangia metà di quello che si incassa, pensare al futuro è un’utopia.

La fine di miti che hanno mortificato a lungo l’individuo e le sue necessità

Ecco perché al netto di tante belle chiacchiere, oggi i giovani affollano i concorsi pubblici. Sono vecchi, sono polverosi, sono fantozziani, sono grotteschi. Ma permettono di guadagnare dignitosamente di lavorare ad orari non cinesi e di pensare anche udite-udite ad avere una famiglia e dei figli. Sono le contraddizioni di una società che è andata avanti troppo a lungo appoggiandosi sui miti e dimenticando le realtà concrete di tutti i giorni. Le statistiche parlano chiarissimo e il covid ha rinforzato se possibile ancora di più questa tendenza.

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Le lunari domande sul perchè della denatalità peste ad una generazione che sa che non percepirà la pensione e che non sa quanto guadagnerà il mese prossimo.

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I numeri diffusi da veri osservatori parlano chiaro: i giovani cercano il posto fisso perchè senza un minimo di certezze non si può programmare nulla. 

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