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Se la Cina vuole uscire dalla crisi energetica deve “esportare inflazione”. Lo scenario è fosco

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Salvatore Dimaggio

La crisi energetica cinese è un fenomeno forte ed inaspettato che tuttavia rischia di avere un epilogo assai pericoloso.

In Cina c’è il forte penuria di energia e città e fabbriche sono costrette ad un inverosimile razionamento. Questo sta limitando la produzione ed anche tante aziende occidentali come Apple e Tesla che acquistano i semilavorati in Cina stanno accusando il colpo. Ma da dove nasce questa crisi energetica? In Cina esiste un tetto massimo al mercato al costo dell’energia. Infatti l’energia in Cina è retta da un mercato sostanzialmente calmierato. Questo vuol dire che l’energia non si può far pagare più di tanto. Questo è un vecchio cavallo di battaglia del governo cinese perché le merci cinesi vincono nella misura in cui sono a basso costo e per tenerle a basso costo anche l’energia per produrre le deve costare poco. Tutto questo fino ad oggi ha funzionato. Tuttavia c’è un problema: le materie prime anche quelle necessarie per produrre energia come carbone e gas stanno risentendo di forti spinte inflazionistiche.

Per avere energia la si deve pagare di più

Di conseguenza le aziende cinesi dell’energia sarebbero costrette a pagare le materie prime per produrre energia più di quanto dovrebbero far pagare l’energia stessa e di conseguenza non hanno interesse a produrre. Anzi hanno interesse a non produrre più energia. E la Cina si trova al buio. Se il governo vuole sbloccare questa situazione ha realisticamente una sola via anche se molto amara vale a dire togliere il tetto al costo dell’energia.

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Questo consentirebbe di riprendere la produzione energetica ma a cascata le merci cinesi comincerebbero ad aumentare significativamente di prezzo e questo significa che la Cina si trasformerebbe in una sorta di grosso esportatore di inflazione.

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Questa potrebbe essere un’autentica bomba sul delicato scenario inflazionistico in atto.

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