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Non abbiamo argini che ci possano difendere dal temuto credit crunch cinese

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Salvatore Dimaggio

L’autoritarismo di Pechino sta dimostrando di non essere infallibile anzi di aver alimentato bolle e problemi tenuti sopiti troppo a lungo.

Ormai non è più corretto parlare di scandalo Evergrande perché in realtà è tutto il comparto dell’immobiliare cinese ad essere sotto pressione. Una pressione tremenda da 5000 miliardi di dollari che con difficoltà potranno essere restituiti. Ad ogni modo il debito ammonta a tanto. Ma oltre all’immobiliare numerosi altri comparti hanno aziende in sofferenza e l’incubo credit crunch diventa sempre più credibile. Le aziende indebitate in Cina sono veramente tante e se da un lato il governo non ha intenzione di operare qualche genere di salvataggio, dall’altro deve evitare il credit crunch ma tutto ciò non è semplice. In tutto questo si inserisce la crisi della supply chain che sta bloccando buona parte della produzione cinese e che sta facendo rallentare l’industria.

Effetto domino

Se un effetto domino deve partire dalla Cina ed ormai è assai probabile che parta, noi sostanzialmente non abbiamo armi per arginarlo. Un credit crunch cinese così come uno stop sulla supply chain hanno conseguenze sistemiche per tutto il mondo. D’altra parte è davvero fuori discussione che le banche centrali possano impegnarsi ancora in politiche ultra espansive come quelle tenute in piedi per il covid perché assai probabilmente questo metterebbe il turbo all’inflazione. Piaccia o non piaccia la Cina è un player troppo grande dell’economia mondiale e la crisi che sta denunciando è più grave del previsto e non può non coinvolgerci.

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Pian piano cominciano ad emergere le pratiche, quantomeno originali con le quali le aziende moltiplicavano il debito. Pare che attraessero sempre nuovi finanziatori con promesse di interessi sempre più alti.

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Ma oggi tutto questo arriva ad avere conseguenze di sistema.

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